Recensione

“Tre ciotole” di Michela Murgia

È sempre difficile criticare un libro di successo, ancora di più se di un autore famoso e infinitamente di più se l’autore, l’autrice, è scomparsa da poco ed è celebrata ovunque con parole cariche di ammirazione e stima. 

Ma andiamo per gradi.

Ho appena terminato di leggere “Tre ciotole” di Michela Murgia. Ammetto che non lo avrei fatto se non fosse stato tra i libri di cui parleremo al prossimo incontro del gruppo di lettura: non amo i racconti e cerco di evitare i libri troppo pubblicizzati perché – problema mio – parto prevenuta e non riesco a dare un giudizio obiettivo.

Tant’è, comunque, che “Tre ciotole” non mi ha convinto.

Un “romanzo scomposto”

Non so bene come definirlo. È una raccolta di racconti più o meno incastrati tra di loro, tanto che alla fine si può leggere una certa continuità nella trama; sono un po’ come le ciotole dove la protagonista del secondo racconto divide riso, pollo e verdure per comporre un pasto completo.

Potrei anche dire che “Tre ciotole” è un “romanzo scomposto” segnato da una profonda impronta autobiografica.

Ogni storia ha un protagonista che parla in prima persona. In qualche modo le sue vicende si intersecano con quelle di un protagonista di uno dei racconti successivi, e così la stessa situazione finisce per essere presentata da punti di vista differenti. Viene da pensare «Sii gentile, perché ogni persona che incontri sta già combattendo una dura battaglia».

Ammetto che questa struttura sia originale e interessante anche per chi, come me – come dicevo – preferisce i romanzi ai racconti.

Il problema però è che qui “ci giriamo intorno” senza arrivare ad un punto; il libro ha un certo non so che di incompiutezza che ci potrebbe benissimo stare se pensiamo che è stato scritto da una persona malata, ma l’idea che mi sono fatta è che sia invece una incompiutezza ricercata (forse troppo raffinata per me).

“Tre ciotole” senza una “quadra”

Ogni storia, a suo modo, parla di dolore, malattia, sofferenza, ma non si arriva ad una conclusione: non è chiaro il messaggio. Non voglio dire che ci debba essere per forza una morale (non stiamo leggendo “Pinocchio“), ma per me viene naturale chiedermi: qual è il senso? dove vuole andare a parare l’autore?

Qui, francamente, non l’ho capito; o forse ho capito che non vuole andare a parare da nessuna parte. È come una raccolta di diari di persone diverse, in qualche modo legate tra loro, e non c’è nessuna “quadra” da raggiungere. 

Il senso forse è proprio questo: nella vita, chiunque tu sia, qualunque cosa tu faccia, non c’è una “quadra”. Tutto scorre: gli eventi, le persone, la vita. Che tu ti opponga, o ti lasci trascinare, la vita va avanti anche senza di te.

Nel titolo c’è anche ” Rituali per un anno di crisi” , ma la sensazione che mi è arrivata è che questi rituali, alla fine, siano solo dei palliativi. Non ho trovato quel senso di “pace” che traspare (e che mi aspettavo) dalle ultime interviste che Michela Murgia ha rilasciato.

È un libro che mi ha lasciato l’amaro in bocca. Lo consiglio? Boh, non necessariamente.

Il nostro lato oscuro ci porta ad essere attratti dalle tragedie; proviamo una curiosità morbosa per catastrofi e incidenti, e un incipit come “Lei ha una nuova formazione di cellule sul rene” di certo non lascia indifferenti.

Personalmente però preferisco fermarmi a guardare i cantieri in costruzione che gli incidenti in autostrada.

Comunque, se volete iniziare a dargli un’occhiata, ecco, come sempre, l’anteprima

“Tre ciotole” Michela Murgia Anteprima

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