Recensione

Piccoli Uomini di Louisa May Alcott

— Per favore, signore, è qui Plumfield? – chiese un ragazzotto piuttosto male in arnese all’uomo che aveva aperto il grande cancello davanti al quale era sceso dall’omnibus.
— Sì, chi ti ha mandato?
— Il signor Laurence. Ho una lettera per la signora.
— Va bene. Va fino alla casa e portagliela. Vedrai che ti riceverà, figliuolo.

Louisa May Alcott, Piccoli Uomini, 1871

Mi occupo di editing e revisione, e mi ha fatto molto piacere partecipare al Progetto Manuzio, promosso da LiberLiber, con la revisione di Piccoli uomini di Louisa May Alcott e tradotto da Luigi Garrone nel 1935, soprattutto perché mi ha dato la possibilità di ritrovare, dopo tanti anni, Jo che per prima mi ha ispirato l’amore per la lettura e la scrittura.

Ho letto Piccole donne e Piccole donne crescono fino a consumarne le pagine, anche perché ogni volta speravo che alla fine accadesse il miracolo e Jo si sposasse con Laurie (e se un giorno mi dovessi decidere a scrivere una fanfiction sarebbe sicuramente così).

Piccoli Uomini: che fine ha fatto Jo March?

Ho sperato in un riavvicinamento anche dopo aver letto (e riletto… e riletto… e riletto…) Piccoli uomini, ma niente, la Alcott non si smuove.

La Jo che però ho ritrovato in Piccoli uomini mi ha un po’ rattristato, il suo spirito ribelle è stato domato: è calma e pacata e vediamo solo qualche lampo della luce di un tempo.

La ragazza che voleva conquistare il mondo con la sua determinazione e indipendenza è diventata una gentile signora di campagna che accoglie i bambini in difficoltà nella sua grande casa, sotto la supervisione quieta e paterna del marito.

Jo si è arresa, o in qualche modo si è voluta accontentare; forse è solo il frutto dei suoi tempi (siamo nel 1871) e Jo March ha preso il suo posto al fianco del marito e si è uniformata al suo ruolo di angelo del focolare, ma a me sa tanto di tradimento di quella ragazza che si chiudeva in soffitta a leggere e a scrivere i suoi romanzi.

Anche i suoi sogni sono cambiati

“Se Dan diventasse un grande naturalista, e Nat un celebre violinista, avrei ragione di andare fiera del mio lavoro.” Jo sorrise mentre costruiva castelli in aria, come quando era fanciulla.

Forse è anche vero che un po’ tutti abbiamo abbandonato in soffitta la Jo March che eravamo, per diventare “adulti” … ma questa è un’altra storia. Torniamo al romanzo.

Piccoli uomini: la trama

Alla fine di Piccole donne crescono, Jo, dopo essersi trasferita a New York per fare la scrittrice, conosce e sposa il professor Baher, insegnante presso la famiglia in cui era stata assunta come bambinaia. Insieme decidono di aprire una scuola del tutto innovativa presso la tenuta di Plumfield, ereditata dopo la morte della zia March.

Piccoli uomini racconta dunque le vicende dei ragazzi di Plumfield. Ritroviamo naturalmente Jo March, ora Mamma Bhaer; il marito, il professor Fritz Baher, e i figli Ron e Teddy. Ci sono anche i due gemelli di Meg, Demi e Daisy, e tutti i bambini che vivono nella scuola, oltre al mio amato Laurie che per i ragazzi è lo zio Teddy.

Non mancano le avventure, i litigi e i piccoli drammi, ma tutto avviene sotto l’amorevole sguardo di Jo ed Fritz che guidano con amore i ragazzi verso il raggiungimento dei loro piccoli traguardi insegnandogli convivere nel rispetto reciproco, aiutandosi e sostenendosi a vicenda.

Una classe di monelli per Jo

Nel 1994 ne è stata trasmessa anche una versione in cartoni animati su Italia1: Una classe di monelli per Jo. La protagonista è Nan, una delle bambine di Plumfield, che nella sua irruenza ricorda molto la piccola Jo.

Una classe di monelli per Jo

Il cartone animato è un po’ diverso dal romanzo, come è giusto che sia, ma il messaggio rimane lo stesso: non ci sono ragazzi difficili, ma solo ragazzi che hanno bisogno di essere compresi e stimolati nel modo giusto e, in questo, Piccoli uomini è ancora molto attuale.

Questa volta non vi metterò il link dell’anteprima, ma vi voglio regalare (se così si può dire) il romanzo completo che ho revisionato per LiberLiber

Piccoli Uomini – LiberLiber
(Eastman Johnson American, The Old Stagecoach 1871)

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