Recensione

Io sono l’abisso – Donato Carrisi

L’uomo che puliva, la ragazzina con il ciuffo viola, la cacciatrice di mosche, tutti sono accomunati da un unico elemento: la solitudine.

È la solitudine che ci mette in pericolo, che ci rende vittime, che fa di noi dei carnefici.

Questo è Io sono l’abisso di Donato Carrisi (Longanesi).

In realtà ho scoperto Carrisi solo recentemente, tra l’altro con un libro che si discosta del tutto dal suo genere: “La donna dei fiori di carta, quindi ho come l’impressione di avere iniziato dalla fine.

Ho comprato Io sono l’abisso appena uscito anche perché con la prevendita c’era la possibilità di acquistare la copia autografata (ogni tanto faccio cose stupide, amen), ma l’ho letto solo in questi giorni perché a dicembre ne parlavano tutti e la cosa un po’ mi infastidiva. Per lo stesso motivo non ho ancora letto “Cambiare l’acqua ai fiori” (e forse non lo leggerò mai), ma questa è un’altra storia: torniamo all’abisso.

Io sono l’abisso è un thriller psicologico che leggeresti tutto d’un fiato se non fosse che ogni tanto devi riemergere per riprendere ossigeno, proprio come dalle acque immobili del lago. 

Forse non sarà uno di quei libri da tramandare ai posteri, ma di certo è scritto in maniera eccellente, già praticamente pronto per la sceneggiatura. Carrisi è un maestro nel dipingere scene e personaggi. L’utilizzo delle parole – non una in più del necessario – è quello che amo di più in un autore: la capacità di dosare parole ed emozioni.

Carrisi ti porta per mano fino alla sponda del lago, a cercare il fondo con gli occhi, e poi ti guarda e ti sorride sornione, come dall’aletta della copertina e sembra dirti: “anche questa volta, ti ho portato dove volevo io”.

In una delle ultime dirette su Instagram, Carrisi ha annunciato che sta per ricominciare a scrivere, inutile dire che lo stiamo già aspettando.


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